mercoledì 15 luglio 2015

RODOLFO

Una mia piccola storia, un caro amico che ci lasciava dopo una vita passata a costruire navi, non abitava in un faro, non si chiamava Rodolfo e la moglie era una presenza forte ed è ancora una delle persone a cui sono più affezionata, ma quando se ne è andato l'ho immaginato in quel faro a guardare il mare.

  


   Il faro era lì da tempo immemorabile.

Anche Rodolfo sembrava fosse lì da un tempo infinito anche se ci era andato a vivere soltanto pochi anni prima.

 
Con il binocolo appoggiato agli occhi scrutava l’orizzonte in cerca di chissà che cosa.

Vedeva navi passare, navi da ricchi che conosceva bene, e navi da disgraziati, che aveva imparato a conoscere da poco.

A volte solo il nulla, una distesa calma o nervosa, sempre di colori diversi, dal blu all’azzurro passando per tutte le tonalità intermedie. Dipendevano dall’umore che il mare aveva in quel momento.

Silenzioso o assordante il mare segnava le ore delle sue giornate.

 Un tempo aveva sognato di esplorarlo, partire senza una meta ad incontrare terre e genti, adesso non aveva desideri, lo guardava e basta.

Un tempo aveva un figlio ed una moglie, adesso il figlio se ne era volato in America affidando ad un biglietto aereo di sola andata tutte le sue speranze di un futuro diverso, e la moglie era una presenza invisibile che lo amava per quello che era anche se era diverso dall’uomo che aveva sposato tanti anni prima.


In lontananza una di quelle navi che conosceva come le sue tasche, solo che le sue tasche non erano così piene di denaro.

Aveva lavorato in un cantiere navale, aveva saldato migliaia di pezzi di ferro fino a farli diventare quegli oggetti preziosi che ora gli passavano davanti.

Giornate scandite dalle sirene che chiamavano gli operai al lavoro e li congedavano.

Lunghe giornate al caldo e al freddo, spezzate da un panino o da una pastasciutta portati da casa, un quarto di vino, due chiacchiere tra compagni di lavoro che si concentravano sempre sulle basse paghe, sul governo che non andava mai bene, qualunque fosse, e sull’ultima partita di calcio.

Alla fine il varo, le foto sui giornali, le facce meravigliate della gente comune che vedeva uscire dal cantiere sontuose città galleggianti con negozi e piscine, casinò e ristoranti, stanze da letto dove potevano viverci quattro persone.

Città che sarebbero state abitate per brevi periodi da altre genti troppo diverse da chi restava abbagliato nel vedere tanto sfarzo.

E che dimenticava davanti a quello spettacolo il sudore e le bestemmie con cui era stato realizzato.

Rodolfo pensava a tutte queste cose mentre con il suo binocolo seguiva il volo di un gabbiano.

E pensava anche a quando, giovane uomo, aveva accolto con gioia la possibilità di lavorare in quel cantiere: in tempi in cui avere un lavoro sicuro era così difficile, era stato come vincere un terno al lotto.

Aveva visto troppi suoi amici fare le valigie e senza nulla in tasca se non un biglietto del treno e la speranza di una opportunità migliore, partire per la Svizzera o la Germania.

Aveva poi ricevuto le loro lettere che gli narravano come le speranze si vanno a frantumare in una realtà di  fallimenti e umiliazioni.

Ed ora aveva troppo spesso la visione di quelle illusioni sotto gli occhi, rappresentate da navi e gommoni fatiscenti che approdavano carichi di dolore sulla costa sotto la luce del suo faro.

E ogni volta la scena era la stessa: facce spaurite, esauste, incredule di essere ancora vive o in lacrime per chi alla riva non c’era arrivato.


Era stanco Rodolfo, lui che era stato sempre un uomo energico, mai spaventato dalla fatica, sempre pronto ad offrire le sue forti braccia a chiunque gliele chiedesse.
 

Guardava il mare chiedendosi se oltre quell’orizzonte potesse trovare un po’ di pace.

Ma quella linea invisibile che separava il cielo dalla terra, non gli dava le risposte che cercava.

Sonia Vigna 2008


Mani


A chi A cosa servono le mani bimbo mio
Ti spiego anche se son bambino anch'io
Le Mani sono il mondo l' universo
Il tempo ritrovato il tempo perso.
Tozzi 1980