Il faro era lì
da tempo immemorabile.
Anche Rodolfo sembrava fosse lì da un tempo infinito
anche se ci era andato a vivere soltanto pochi anni prima.
Con il binocolo appoggiato agli occhi scrutava
l’orizzonte in cerca di chissà che cosa.
Vedeva navi passare, navi da ricchi che conosceva
bene, e navi da disgraziati, che aveva imparato a conoscere da poco.
A volte solo il nulla, una distesa calma o nervosa,
sempre di colori diversi, dal blu all’azzurro passando per tutte le tonalità
intermedie. Dipendevano dall’umore che il mare aveva in quel momento.
Silenzioso o assordante il mare segnava le ore delle
sue giornate.
Un tempo aveva sognato di esplorarlo, partire senza
una meta ad incontrare terre e genti, adesso non aveva desideri, lo guardava e
basta.
Un tempo aveva un figlio ed una moglie, adesso il
figlio se ne era volato in America affidando ad un biglietto aereo di sola
andata tutte le sue speranze di un futuro diverso, e la moglie era una presenza
invisibile che lo amava per quello che era anche se era diverso
dall’uomo che aveva sposato tanti anni prima.
In lontananza una di quelle navi che conosceva come le
sue tasche, solo che le sue tasche non erano così piene di denaro.
Aveva lavorato in un cantiere navale, aveva saldato
migliaia di pezzi di ferro fino a farli diventare quegli oggetti preziosi che
ora gli passavano davanti.
Giornate scandite dalle sirene che chiamavano gli
operai al lavoro e li congedavano.
Lunghe giornate al caldo e al freddo, spezzate da un
panino o da una pastasciutta portati da casa, un quarto di vino, due chiacchiere
tra compagni di lavoro che si concentravano sempre sulle basse paghe, sul
governo che non andava mai bene, qualunque fosse, e sull’ultima partita di
calcio.
Alla fine il varo, le foto sui giornali, le facce
meravigliate della gente comune che vedeva uscire dal cantiere sontuose città
galleggianti con negozi e piscine, casinò e ristoranti, stanze da letto dove
potevano viverci quattro persone.
Città che sarebbero state abitate per brevi periodi da
altre genti troppo diverse da chi restava abbagliato nel vedere tanto sfarzo.
E che dimenticava davanti a quello spettacolo il
sudore e le bestemmie con cui era stato realizzato.
Rodolfo pensava a tutte queste cose mentre con il suo
binocolo seguiva il volo di un gabbiano.
E pensava anche a quando, giovane uomo, aveva accolto
con gioia la possibilità di lavorare in quel cantiere: in tempi in cui avere un
lavoro sicuro era così difficile, era stato come vincere un terno al lotto.
Aveva visto troppi suoi amici fare le valigie e senza
nulla in tasca se non un biglietto del treno e la speranza di una opportunità
migliore, partire per la
Svizzera o la
Germania.
Aveva poi ricevuto le loro lettere che gli narravano
come le speranze si vanno a frantumare in una realtà di fallimenti e umiliazioni.
Ed ora aveva troppo spesso la visione di quelle
illusioni sotto gli occhi, rappresentate da navi e gommoni fatiscenti che
approdavano carichi di dolore sulla costa sotto la luce del suo faro.
E ogni volta la scena era la stessa: facce spaurite,
esauste, incredule di essere ancora vive o in lacrime per chi alla riva non
c’era arrivato.
Era stanco Rodolfo, lui che era stato sempre un uomo
energico, mai spaventato dalla fatica, sempre pronto ad offrire le sue forti
braccia a chiunque gliele chiedesse.
Guardava il mare chiedendosi se oltre quell’orizzonte
potesse trovare un po’ di pace.
Ma quella linea invisibile che separava il cielo dalla terra, non gli dava le risposte che cercava.
Ma quella linea invisibile che separava il cielo dalla terra, non gli dava le risposte che cercava.
Sonia Vigna 2008
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